La pandemia ha frenato l’esodo, molti però non tengono conto anche degli aspetti negativi del lavorare e vivere all’estero. Potrebbe essere conveniente, dal punto di vista fiscale, scegliere di tornare in Italia.
Andare a vivere e lavorare all’estero, o ancora prima a studiare, per poi rimanere per sempre oltre confine. In Italia si parla da molto tempo di questa tendenza, soprattutto per quelle persone, giovani, che ambiscono a una carriera in settori da noi poco valorizzati e retribuiti.
Chi vuole diventare un ricercatore, per esempio, punta a spostarsi in un paese come gli Stati Uniti o il Regno Unito; chi vuole avviare una nuovo società, magari in ambito tecnologico, guarda anche alla Germania, per non parlare poi della Svizzera, meta di tanti per via degli stipendi molto alti rispetto all’Italia.
Sarà stato per l’effetto della pandemia, ma secondo il Centro Studi e Ricerche Idos, questa fuga all’estero ha fatto registrare una flessione per la prima volta nel 2022, sulla base dei dati principali sulle “nuove migrazioni” raccolti dall’Istat e dall’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire).
Frenata delle partenze: Covid ma non solo
I motivi però che possono far rimanere i giovani e meno giovani in Italia sono anche di natura diversa dalla paura del Covid. Fuori dall’Italia non è tutto rose e fiori come tanti vogliono far credere, sia dal punto di vista sociale sia economico. Gli stipendi più alti spesso corrispondono a un costo della vita più alto, tra questi uno dei costi più rilevanti è quello dell’affitto di un alloggio (es. Trovare casa a San Francisco, nella Silicon Valley, è difficile e molto caro).
Non è vero, per esempio, che in Italia le tasse siano più alte in assoluto rispetto agli altri Paesi. La Germania ha una tassazione, tra Irpef e contributi, più alta dell’Italia, e il servizio sanitario nazionale può implicare la necessità di sottoscrivere un’assicurazione apposita, anche molto costosa.
Certo, in Italia c’è una pesantezza della burocrazia che può arrivare a tarpare le ali, e c’è un’oggettiva difficoltà dei cittadini a far valere i propri diritti, ma tante cose non sempre vengono considerate nelle statistiche che servono a definire la qualità della vita nel nostro paese.
Quindi ok lo smart working e la possibilità di spostarsi e fare esperienze, ma la fuga potrebbe anche essere vista in direzione Italia, anche perché ora sono disponibili dei vantaggi fiscali molto interessanti per chi riporta la residenza in Italia.
Per questi lavoratori è riservata la possibilità di tassare al 30% (o 10%) i redditi da lavoro dipendente, lavoro autonomo o d’impresa, se esercitati in forma individuale, per 5 periodi d’imposta, di base, estendibili se si verificano ulteriori e particolari condizioni, per ulteriori cinque anni.
Incentivi fiscale per i lavoratori impatriati
Si tratta di un regime di tassazione agevolata temporaneo, riconosciuto ai lavoratori che trasferiscono la residenza in Italia (articolo 16, comma 1, Dlgs n. 147/2015).
Le condizioni sono applicabili sia ai cittadini italiani espatriati all’estero, sia ai cittadini esteri che stabiliscono la loro residenza in Italia per lavoro. Di fatto è quindi un incentivo duplice per favorire un ritorno e un ingresso di cervelli del nostro paese.
I presupposti di applicazione sono due:
- Nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento, il lavoratore non è stato residente in Italia e si impegna, inoltre, a mantenere qui in Italia la residenze per almeno due anni
- L’attività lavorativa è svolta prevalentemente nel territorio italiano.
Per le persone che soddisfano questi requisiti, nel periodo d’imposta in cui la residenza viene trasferita e nei successivi quattro, il reddito da lavoratore dipendente (o a esso assimilato) e da lavoratore autonomo prodotto in Italia concorre alla formazione del reddito complessivo solo al 30% dell’ammontare, oppure al 10% se la residenza è presa in una di queste regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia.
Prolungamento del beneficio per lavoratori impatriati
I benefici fiscali previsti per i lavoratori impatriati si applicano per altri cinque periodi d’imposta ai lavoratori con almeno un figlio minorenne o a carico e a quelli che diventano proprietari di almeno un’immobile residenziale in Italia dopo il trasferimento o nell’anno precedente (12 mesi esatti).
Per questo periodo di proroga, i redditi agevolati concorrono alla formazione dell’imponibile ai fini fiscali per il 50% del loro ammontare, oppure per il 10% in caso il soggetto in esame abbia almeno tre figli minorenni o a carico.
Questo regime fiscale agevolato spetta anche per i redditi d’impresa prodotti dai lavoratori impatriati che avviano un’attività in Italia a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019.
Come fare richiesta al regime agevolato
Per poter accedere a questo importante incentivo, gli iter da seguire sono:
I lavoratori dipendenti devono presentare una richiesta scritta al datore di lavoro.
I lavoratori autonomi possono farlo direttamente nella dichiarazione dei redditi. In alternativa, possono fruire del beneficio in sede di applicazione, da parte del committente, della ritenuta d’acconto sui compensi percepiti; in questo caso, devono presentare una richiesta scritta.
Decreto Crescita 2022 e lavoratori impatriati
Le novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2022 danno la possibilità di prolungare il periodo di fruizione dei benefici del regime agevolato per gli impatriati anche a chi ha trasferito la residenza in Italia prima del 2020.
Per usufruire di questa estensione insegnanti, ricercatori e ricercatrici devono procedere al pagamento di una somma pari al 5 o al 10 per cento dei redditi di lavoro dipendente e autonomo prodotti in Italia nel periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione entro una certa scadenza (per il 2022 è il 27 settembre).
Per gli anni successivi al 2022, il termine è quello del 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del primo periodo di fruizione dell’agevolazione.
Il pagamento della somma dovuta dev’essere fatto tramite modello F24 usando lo specifico codice tributo previsto dall’Agenzia delle Entrate.
Per i requisiti c’è l’autocertificazione
L’attestazione dei requisiti è a carico del lavoratore che fa richiesta del regime agevolato, che ha quindi la responsabilità di autocertificare la presenza di tali requisiti.
Sono previste delle sanzioni amministrative nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate riscontri che non sono stati rispettati i requisiti per l’applicazione di questa agevolazione.
L’Agenzia delle Entrate può procedere per recuperare i benefici già fruiti, con l’applicazione delle relative sanzioni ed interessi.
Dottore Commercialista